Giovanni Paolo Pannini, Il Colosseo e l'arco di Costantino, XVIII secolo.
MARTEDI 12 APRILE 2022 | DI LORENZO FRANZONI | TEMPO DI LETTURA: 7 MINUTI
Il viaggio, reale o immaginario, affascina da sempre l’uomo ed anche nella letteratura rappresenta un topos molto antico: basti pensare alla figura di Odisseo, peregrino per decenni in mezzo al mare, al Giasone narrato da Apollonio Rodio nelle Argonautiche, alla ricerca del Vello d’oro, o all’Enea di Virgilio, profugo di guerra, che come Ulisse affronta mille sfide prima di approdare ad un porto sicuro. Ma quando il viaggio diventa ‘racconto di viaggio’, resoconto minuzioso di terre, tradizioni e genti sconosciute? Quando lo stupore per l’ignoto si unisce alla realtà raccontata?
Marco Polo. Meraviglia e realtà
Uno dei primi esempi risale al XIII secolo e al ben noto personaggio storico di Marco Polo, che appena diciassettenne, insieme al padre Nicolò e allo zio Matteo, già mercanti in Oriente con un’avviata azienda commerciale, partì da Venezia alla volta della Cina intorno al 1271. Marco soggiornò a lungo (quasi vent’anni) alla corte di Qubilay, Gran Khan dei Mongoli e imperatore della Cina, diventando anche uno dei suoi uomini di fiducia e svolgendo per suo conto varie attività diplomatiche in svariate regioni dell’Impero. Poco dopo esser tornato a Venezia nel 1295, nel clima di guerra aperta per il dominio del Mediterraneo che si era instaurato con Genova, viene fatto prigioniero nella battaglia di Curzola e in cella incontra il prosatore Rustichello Da Pisa, già autore di romanzi in lingua d’oil (la più diffusa allora dopo il latino), tra cui alcuni dedicati al ciclo arturiano. Affascinato dai racconti che gli narra Marco Polo sul viaggio intrapreso in Oriente, si impegna a trascrivere fedelmente le imprese del compagno di cella in francese. Originariamente venne intitolata La divisament dou monde, “la descrizione del mondo”; solo più tardi, in una successiva edizione in toscano, l’opera divenne quella che noi oggi conosciamo come il Milione, una descrizione particolareggiata, con sguardo obiettivo e non moralizzante ( come sarebbe stato invece di tendenza al suo tempo, di fronte alle usanze più barbare e singolari dei Tartari), di un continente sconosciuto, ricco di meraviglie e ricchezze, che rispecchiava perfettamente allora la sempre più diffusa curiosità e fascino per l’ignoto. Un occhio imparziale e attento alla realtà dei fatti che non solo aprirà le relazioni commerciali tra Europa e Cina, ma ispirerà a lungo l’immaginario collettivo dei secoli a venire, tra tutti capolavori di epoche più recenti come Il deserto dei Tartari di Buzzati o Le città invisibili di Italo Calvino.
Un'illustrazione tratta da Il Libro delle Meraviglie o Il Libro di Marco Polo, conosciuta in Italia come Il Milione (XV secolo). Racconta le avventure del mercante veneziano esploratore Marco Polo che arrivò fino alla Cina, visse alla corte del grande Kublai Khan e vi tornò nel 1295. Il l'opera fu scritta nel 1298 in lingua franco-veneziana sotto la dettatura di Marco Polo da Rustichello di Pisa. Entrambi furono imprigionati a Genova.
I Gran Tour. Alla scoperta delle vestigia del passato
Lo spirito di osservazione presente in Marco Polo lo ritroviamo secoli dopo in età illuminista, pur così critica nei confronti del Medioevo, nel fenomeno culturale e sociale dei Grand Tour, termine apparso per la prima volta in un volume del 1670 di Richard lassels dal titolo An Italian Voyage or Compleat Journey through Italy. Sotto questo nome finirono tutti quei viaggi di istruzione che avevano come fine la formazione del giovane gentiluomo attraverso un viaggio per l’europa continentale, che come ultima tappa prevedeva anche l‘italia. La penisola cosi torna ad essere, dopo i pellegrinaggi medievali che l’avevano vista una delle tre peregrinationes maiores, meta privilegiata per la sua cultura e storia, le quali si potevano ancora ammirare tra le rovine delle sue antiche civiltà.
Era un viaggio impegnativo, non solo in termini di denaro ma anche di tempo, perché in alcuni casi durava anni, ed è per questo che la preparazione a una tale impresa doveva essere minuziosa e studiata nei minimi particolari. Perché, come nel Medioevo, anche questi ‘pellegrini laici’ acculturati erano soggetti a vari rischi, ed è per questo che col tempo si delinearono, a partire dai taccuini di viaggio in cui si annotavano i loro resoconti, delle vere e proprie guide per i viaggiatori, al fine di far vivere la migliore esperienza possibile. Questi manuali contenevano indicazioni e consigli dettagliati e utili per chi viaggiava: raccontavano curiosità, consigliavano luoghi ed esperienze e così si permetteva di affrontare più serenamente il tour.
L’idea di un Grand Tour letterario prende avvio probabilmente dopo la pubblicazione di “Remarks upon Several Parts of Italy” di Joseph Addison. Poeta e drammaturgo inglese, figlio della ragione, Addison fu fortemente influenzato dalla cultura classica latina e, quando visita per la prima volta l’italia, ne rimane profondamente deluso, perché la realtà non fu proprio quella che aveva immaginato; di fronte all’incuria in cui versavano i monumenti dell’antichità non potè che esprimere disprezzo per un popolo che aveva dilapidato tutto il suo patrimonio di classicità.
Giovanni Paolo Pannini, Vista del foro romano, XVIII secolo.
Nel 1668 Maximilien Misson, magistrato francese, scrisse una nuova guida per l’Italia, “Nouveau Voyage d’Italie”, un itinerario del Grand Tour che ebbe grande fortuna e venne largamente utilizzata dai viaggiatori ottocenteschi. Misson riuscì infatti a carpire gli interessi del lettore-viaggiatore tipo e a trasferire questa conoscenza nei suoi scritti. La forma epistolare gli permise di selezionare e trattare liberamente gli argomenti, sottolineando , a differenza di Addison, l’importanza di cercare anche le “tracce imperfette” dei luoghi.
Sterne. La virata romantica
Chi l’avrebbe mai detto che la letteratura di viaggio, che era diventata il genere letterario più conosciuto e di maggior successo dopo i romanzi, subisse nel settecento un cosi radicale stravolgimento. Fino a quel momento i resoconti di viaggio che avevano ispirato i Gran Tour seguivano poche ma semplici regole: descrivere gli usi, i costumi, le leggi e i monumenti dei paesi visitati e, altrettanto importante, parlare il meno possibile di se stessi, giusto quel poco necessario per dare veridicità al racconto e un minimo di trama. Ma quando usci nel 1768 Sentimental Journey, gli schemi vennero stravolti e la letteratura di viaggio virò inesorabilmente verso un finale romantico. Ispirò un nuovo modello. Non più il viaggio formativo che aveva alimentato il filone della travel literature o quello immaginario che prendeva vita tra le pagine del Candide di Voltaire o dei Viaggi di Gulliver di Swift. Aveva più l’aria di un itinerario ‘sentimentale’, si interiorizzava, sul resoconto dei fatti in sè prevaleva il punto di vista del viaggiatore, non senza, almeno in Sterne, una velata nota satirica nei confronti di quella moda del tempo e di quella letteratura così fiorente.
Sotto lo pseudonimo shakespeariano di Yorick, Laurence Sterne raccoglie impressioni di viaggio, sensazioni, pensieri. L'autore viaggia tra i luoghi dell'anima, lasciando da parte le sfumature del paesaggio ed esaltando quelle dell'umano sentire, è uno di quei viaggiatori che amano osservare, anche con ironia, ciò che sta loro intorno, per poi abbandonarvisi completamente.
Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe nella campagna romana, 1787
La fuga di Goethe verso la classicità
Tra i resoconti più celebri dell’Ottocento vi è sicuramente il viaggio che intraprese Goethe in Italia nel 1786. Il suo sogno era sempre stato quello di visitare questa terra ricca di classicità, da Roma alla Magna Grecia. Così, per risanare la sua creatività di poeta e scrittore, oppressa dagli impegni di ministro a Weimar, Goethe, quasi come se fosse in fuga, con un passaporto falso che recava il nome di Philipp Möller per garantire il suo anonimato, iniziò una notte di inizio settembre il suo lento peregrinare verso l’Italia. I capolavori di Michelangelo, la grande pittura rinascimentale e barocca, il Bernini, non lo attrassero più di tanto, a Firenze ci passò a malapena un giorno (neppure citando Giotto o Cimabue) e nella cappella sistina addirittura si addormentò. Se Vincenza lo conquista per le sue architetture palladiane e sansoviniane e la campagna del Brenta con lo splendore delle sue ville, Venezia lo seduce per la sua vita, quella delle calli e dei mercati e quella più costruita dei teatri, dove lo sorprende la popolarità delle maschere. Quando però vide per la prima volta dal vivo un monumento romano come l’Arena di Verona, il suo spirito si sentì subito a casa. Roma lo colpì e rimase la sua casa per molto tempo, ma ancora di più gli si impresse alla vista e al cuore Napoli, con le sue strade luminose, il mare e la gente, tanto che definirà la città partenopea il “paradiso”, dove arte e vita quotidiana si scontravano per poi unirsi.
Il viaggio doveva durare alcuni mesi, ma alla fine tra una cosa e l’altra passarono quasi due anni. Più che un viaggio in Italia diventò un lungo soggiorno e prestò si abituò alla vita quotidiana della penisola e ai suoi ritmi: oltre a dipingere continuamente (portò a casa circa mille disegni), ricominciò a scrivere e a completare alcune opere non terminate prima. Il suo diario, pubblicato nel 1829, più di trent’anni dopo il viaggio, è piuttosto insolito. Alla fine non si trattava di una descrizione dell’Italia, ma un resoconto delle sue impressioni e di ciò che riceveva dalla gente del paese, mescolate a riflessioni su arte, letteratura o cultura. Leggendo il libro, alla fine, si capisce più di Goethe che dell'Italia.