Incisione d'epoca raffigurante i fratelli Montgolfier che presentano l’aerostato a Versailles, alla presenza del re Luigi XVI e della Regina Maria Antonietta, il 19 settembre 1783. I primi aeronauti della mongolfiera sono una pecora, un’oca ed un gallo, collocati in un cesto appeso alle corde del pallone.
MARTEDI 12 APRILE 2022 | DI LORENZO FRANZONI | TEMPO DI LETTURA: 7 MINUTI
Volare come gli uccelli - Un richiamo verso un orizzonte lontano e ancora inesplorato, una sfida a librarsi nel cielo e, come gli uccelli, guardare il mondo da tutta un’altra prospettiva. Come un imprudente Icaro l’uomo si è spinto sempre più in alto, cullando l’idea di imitare un giorno il volo degli uccelli, e alla fine ha finito per conquistare, dopo la terra, anche il cielo. L’intuizione che il volo, come tutte le altre cose in natura, sottostava a determinate leggi e poteva essere riprodotto meccanicamente, portò ai primi rudimentali tentativi di sfidare la legge di gravità: erano gli ornitotteri, dei congegni con una coppia d’ali battenti azionate dal pilota sperimentati per la prima volta senza successo da Abbas Ibn Firnas, scienziato e inventore berbero della Cordova del 9 secolo d.C., un abbozzo di volo prezioso però, perché venne ripreso e approfondito sei secoli dopo da Leonardo, che iniziò un vero e proprio studio sugli uccelli, oggi racchiuso in un codice di 18 fogli conservato alla Biblioteca Reale di Torino. Una serie di appunti, disegni e studi di analisi del volo, della struttura degli uccelli e di applicazioni ad eventuali macchine volanti che sfortunatamente, come tutti gli altri suoi manoscritti, non si sottrasse alla serie di cessioni, sottrazioni e vendite avvenute dopo la sua morte nel 1519. Anche se parte di un progetto rimasto incompiuto (Leonardo infatti coltivava l’idea di un grande trattato diviso in 4 parti), quella serie di fogli ci mostra la minuzia di particolari del suo studio: dai materiali da impiegare nella costruzione della macchina alle sue dimensioni, dalla posizione del pilota, che su una tavola o in una cabina simile ad un gheriglio di noce, attraverso pedali e leve, azionava due grandi ali, alla collocazione, infine, del baricentro.
Quando si parla di volo è inevitabile citare anche i numerosi e rovinosi tentativi nel realizzarlo come parte del processo di evoluzione e, come Firnas, anche Leonardo sperimentò, dalla cima del monte Ceceri, nei pressi di Firenze, non personalmente, ma attraverso il fidato collaboratore Tommaso Masini, una sua macchina volante che alla fine si schiantò al suolo. L’episodio, divenuto leggendario e oggi ricordato da una targhetta posta sul monte, venne seguito, imitato e perfezionato secoli dopo. Nel 1870 Gustave Trouvè fece volare un ornitottero per poco meno di 100 metri, con delle ali mosse da cariche di polvere da sparo, che azionavano dei tubi a pressione. Fu poi la volta di Lawrence Hargrave vent’anni dopo, che utilizzò vapore e aria compressa, fino al 1942 quando il motore sostituì l’energia umana (ma non la sua guida) nel prototipo di Adalbert chid. Era una macchina guidata da piccole ali battenti montate ai lati della fusoliera, dietro una grande ala fissa come quella presente nei disegni di Leonardo, per favorire la stabilità del volo, in particolare durante la fase di atterraggio e forse fungere anche da timone, mossa questa volta da un motore da 3hp.
Da sinistra: studio di Leonardo per una macchina volante; prototipo di ornitottero di Gustave Trouvè (XIX secolo); macchina volante di Adalbert (XX secolo).
L’aerostato. Una scoperta, forse, di migliaia di anni fa - L’ornitottero tuttavia non fu l’unica strada percorsa nella conquista del cielo, e nemmeno la più antica in termini di tecnologia che interagisse con l’aria e in grado di volare, se si pensa ai primi palloni ad aria calda utilizzati in Cina già nel II secolo a.C. come gioco per i bambini. Secondo Julian Nott, esperto nella tecnologia degli aerostati e nelle sue applicazioni, sarebbe stato possibile già prima del mille che alcune civiltà come quella Nazca utilizzasse questa tecnologia per il trasporto umano. Le linee di Nazca sono giganteschi geoglifi nello stato del Perù realizzati indicativamente tra il 4 secolo a.C e il 6 secolo d.C., visibili in gran parte solo dal cielo. Anche se non c’è alcuna evidenza, era possibile, secondo Nott, visto che la tecnologia per farlo era già disponibile (tessuto di cotone e bambu), che un simile volo fosse stato realizzato allora per definire dal cielo le linee e le proporzioni dei disegni sulla terra, seguendo un semplice principio: quando il tessuto viene riempito di gas o aria calda, il pallone stesso risulta più leggero dell’atmosfera che lo circonda, secondo quanto era già stato teorizzato da Archimede.
Ma sul primo volo certo effettuato con un pallone ad aria calda dobbiamo aspettare il 1783.
Si chiamavano Montgolfier. Erano due fratelli, Jacques Etienne e Joseph Michel, che lavoravano nella impresa cartiera di famiglia, con sede a Annoay in Francia. Entrambi coltivavano una passione per le invenzioni tecniche e lo studio delle scienze, e la storia racconta che Joseph, osservando il camino scoppiettare e le scintille salire verso l’alto, intuì che il fumo della combustione della legna fosse più leggero dell’aria. Fu una necessità di guerra a fargli pensare a un modo d’applicazione di quell’intuizione: attaccare dall’alto la fortezza britannica di Gibilterra, che subì in quegli anni uno dei più lunghi assedi della storia da parte degli spagnoli e dei francesi. Costruì così dei piccoli cubi di taffetà con base aperta e accese dei fuochi di carta sotto di essi, notando con sorpresa come salissero al soffitto senza mai fermarsi. Così Joseph disse al fratello di procurarsi tutta la taffetà che riuscisse a trovare, insieme a delle corde, per realizzare quella che noi oggi chiamiamo, a nome loro, la prima mongolfiera. Quando prese il volo, dopo mesi di studio e tentativi falliti, fu l’inizio di una nuova era, trasformando radicalmente il modo in cui l’uomo viaggiava e osservava il mondo. Il pallone percorse senza equipaggio 2 km in 10 minuti e la notizia del successo giunse fino alle orecchie di Luigi XVI che, incuriosito, volle subito un’altra dimostrazione, tenutasi poi davanti al palazzo di Versailles. Stavolta, però, davanti ad una folta folla di spettatori vociferanti, presero posto nella cesta appesa al pallone tre curiosi aeronauti: un gallo, un’oca e una pecora. La mongolfiera, così, da allora (e ancora oggi) divenne parte del viaggiare e dello scoprire il cielo e molto spesso anche la terra, per fini tutt’altro che esplorativi, come spiare i movimenti del nemico nella guerra di Fleurus, prima volta in cui si impiegò un pallone per questo scopo, e ancora durante la guerra di secessione americana mezzo secolo dopo. Fu allora, dopo quasi 100 anni dai primi tentativi dei fratelli Montgolfier, che il pallone ad aria calda, lontano dalla perfezione (non era infatti possibile, tra le altre cose, stabilire con precisione una rotta di viaggio, inoltre nei primi palloni ad idrogeno era necessario portarsi a bordo dei sacchi di sabbia come zavorra, da scaricare per compensare la perdita di gas o salire di quota), iniziava da lontano ad intravedere un suo successore.
Il dirigibile Hindenburg poco prima della partenza e il momento in cui prese fuoco prima di schiantarsi a Lakehurst, nel New Jersey. La testimonianza radiotrasmessa dal campo d’atterraggio dell’annunciatore Herbert Morrison dell’emittente WLS di Chicago, trasmessa (però) il giorno dopo l’impatto, passò alla storia: “Al momento è praticamente immobile. Hanno gettato le funi dalla prua e alcuni uomini le hanno assicurate al suolo. Ricomincia a piovere; sta… la pioggia era un po’ diminuita. I motori posteriori girano quel tanto, quel tanto che basta a tenerlo su… È andato in fiamme! È andato in fiamme e sta precipitando, si sta schiantando! Attenzione! Attenzione, voi! Toglietevi di mezzo! Toglietevi di mezzo! Riprendi, Charlie! Riprendi questo, Charlie! Il fuoco e si sta schiantando! Si schianta, è spaventoso! O mio Dio, toglietevi, ve ne prego! Brucia e divampa, e il… e sta precipitando sopra al pilone d’ormeggio e tutti si rendono sonto che è terribile, questa è una delle peggiori catastrofi del mondo [parole indecifrabili] È… è… in fiamme [indecifrabile, forse dice “salendo”] oh, quattro, forse cinquecento piedi nel cielo ed è… uno schianto pazzesco, signori e signore. C’è fumo, fiamme ora… e il telaio si sta schiantando al suolo, non proprio sul pilone. Oh, tutta quell’umanità e i passeggeri che urlano ovunque, qui attorno..."
Hindenburg. Un passato da riscoprire - Era infatti il 1852 quando per la prima volta comparve un nuovo prototipo di aerostato dotato di propulsione propria, il dirigibile, anche se allora troppo lento per venire utilizzato in pratica, ma precursore negli anni a venire dei primi aeroplani. Si dovrà attendere il XX secolo, inaugurato dai fratelli Wright e dal motore a combustione interna, per vedere una loro diffusione nell’ottica dei viaggi commerciali, sviluppatisi principalmente negli anni ‘30. Per lo più a forma di sigaro, questi mezzi ad armatura rigida o semirigida collegavano l’Europa agli Stati Uniti in 5 giorni alla velocità di 100 km/H. All’interno ai passeggeri erano riservate una serie di strutture di lusso tra cui cabine, un ponte per le passeggiate e salotti. Nonostante tutto, anche se vulnerabili alle condizioni atmosferiche critiche, erano mezzi sicuri che passeranno indenni centinaia di traversate, ma, quando si sostituivano all’aria calda o a gas sicuri come l’elio sostanze altamente infiammabili come l’idrogeno, i dirigibili diventavano una bomba ad orologeria. Fu il caso che passò alla storia come il disastro Hindenburg, il primo e anche l’ultimo per questo genere di aeromobile. L’Hindenburg, costruito in alluminio, era stato pensato inizialmente per essere riempito con l’elio, ma un embargo statunitense su questa sostanza costrinse i costruttori tedeschi ad utilizzare il poco raccomandabile idrogeno. Venne realizzato un rivestimento apposito in grado di prevenire scintille ma il disastro era dietro l’angolo e il 6 maggio 1937, poco prima di attraccare al pilone di ormeggio a Lakehurst, nel New Jersey, prese fuoco e venne completamente distrutto in meno di un minuto. La notizia fece il giro del mondo e la copertura mediatica che ebbe segnò il triste epilogo di questa gigantesca aeronave come mezzo per viaggiare.
In realtà, un vero e proprio epilogo non ci fu, o se c’è stato, fu momentaneo, e non solo per il dirigibile, ma anche per la mongolfiera. Se infatti quest’ultima venne perfezionata da Ed Yost negli anni ‘50-‘60 con nuovi materiali come il nylon e con motori a propano e ancora oggi viene utilizzata per vivere nuove esperienze di turismo e guardare da tutt’altra prospettiva, nel silenzio del cielo, il paesaggio che ci circonda, anche il dirigibile si lasciò alle spalle l’Hindenburg ripartendo con una nuova scommessa per il futuro e ultimamente l’azienda inglese Hybrid Air Vehicles si è posta l’obiettivo, dal 2025, di lanciare una nuova flotta di dirigibili come soluzione pratica alla minaccia del cambiamento climatico. Più lenti e antiquati rispetto ai voli di linea, certo, ci impiegherebbero circa 15 ore per volare da Londra a Barcellona, in controtendenza rispetto alla velocità di spostamenti e informazioni della società del XXI secolo, ma dieci volte meno inquinanti rispetto agli aerei. Più che un nuovo modo di spostarsi e fare turismo, una riproposta del passato che incarna il simbolo della conquista del cielo e della realizzazione del più antico anelito umano.
Sarà davvero il passato il volto del futuro?