Le plastiche e le microplastiche sono ad oggi i rifiuti più presenti nei nostri mari e negli oceani.Ogni minuto più di 15000kg di plastica viene riversato nelle acque (fonte: WWF)
DALLA TERRA AI MARI E GLI OCEANI. QUASI OGNI ANGOLO DEL GLOBO RISENTE DELL’INCAPACITÀ DI PORRE UN FRENO AGLI SPRECHI DELLA NOSTRA SOCIETÀ CONSUMISTICA, INCRINANDO COSI ULTERIORMENTE IL FRAGILE EQUILIBRIO CHE REGOLA IL NOSTRO AMBIENTE.
LUNEDI 23 DICEMBRE 2024 | DI CLAUDIO FRANZONI | TEMPO DI LETTURA: 3 MINUTI
*Questo articolo è uscito nel numero di Novembre-Dicembre 2024 di Terre & Culture nella rubrica TerraNews
Uno dei segni della crisi del nostro rapporto con l’ambiente è costituito dalla marea crescente di rifiuti cittadini o provenienti dalle attività industriali, artigianali, commerciali e alimentari. Da qui la definizione di “società dello spreco” che si fonda sul presupposto di produrre una quantità infinita di beni e che dei recipienti senza fondo (discariche a cielo più o meno aperto, i mari e gli oceani) ci permettano di sbarazzarci di una marea senza fine di rifiuti “gratis”, disinteressandoci dei riflessi che tutto ciò ha sull’equilibrio dei sistemi naturali. Ma adesso questa marea rischia di sommergerci.
Troppo spesso e in troppe occasioni, e per l’ambiente l’ho sottolineato varie volte, la vecchia strategia del “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” ha fallito: i rifiuti li abbiamo anche sotto casa. Ho anche scritto che siamo su una “macchina” che non si può frenare e dobbiamo per forza continuare così, magari ogni tanto mettendo una pezza. E dal momento che la “produzione” non si può fermare (pensate agli interessi delle lobby, delle banche, delle borse, degli investitori, degli speculatori, dei posti di lavoro persi…) l’altra possibilità, per provare ad arginare questo fenomeno, è intraprendere un necessario e nuovo modo di considerare i beni di consumo. È una sfida contro il fatto che ogni bene di consumo si debba inevitabilmente logorare o rompersi in un tempo relativamente breve e debba essere sostituito con un modello più alla moda o nuovo, ovviamente migliore nelle prestazioni ma che, inevitabilmente, si logorerà o si romperà anch’esso. Questi beni non sono solo diventati accessibili alla gran massa di persone (effetto logico nel consumismo), ma anche a buon mercato, possono essere facilmente sostituibili. Così è venuto a mancare il timbro di unicità e, inevitabilmente, la perdita di valore. Questa mentalità usa e getta, quindi “meglio il nuovo che l’aggiustato”, ha contribuito a disfarsi di beni in maniera più veloce e quindi ad aumentare considerevolmente la quantità di rifiuti.
La crisi determinata dal problema dei rifiuti, così come quello ambientale nel suo complesso, deve spronarci a riflettere se e quanto siamo disposti a porci domande più profonde su chi siamo e su cosa vogliamo essere. Ma non sarà facile rispondere, perché la nostra civiltà è fondata su attività economiche interdipendenti che enfatizzano il consumo del “nuovo” o “del più aggiornato”.
Il problema dei rifiuti comprende, ovviamente, altre mille sfaccettature e non solo il problema di come poterli smaltire. C’è da considerare il rapporto tra noi e la Terra e il continuare a credere che siamo separati da essa. In realtà, come sottolineo in Siamo al verde* (inedit edizioni 2024) siamo parte integrante del ciclo naturale della vita che influenziamo (riempiendo la Terra di rifiuti) e che a nostra volta ci influenza (le microplastiche negli oceani e quindi l’impatto nella catena alimentare).
D’altronde, ci hanno abituato a pensare che qualsiasi cosa, secondo le regole del consumismo e dei nostri metodi di dar valore alle cose, possa risultare inutile o superata (vestiti, scarpe, smartphone, etc.), oppure abbastanza degradata al punto da render il suo recupero un costo superiore a quello della sua eliminazione (basta andare nelle aree ecologiche di dismissione rifiuti per notare quanti elettrodomestici di vario tipo o apparecchiature elettroniche sono accatastate) come qualsiasi cosa prodotta in eccesso (dalle armi nucleari ai contenitori in plastica, tante volte a detta dismessi ma in effetti sempre più in circolazione). Tutti ciò che è prodotto crea rifiuti sia nel processo di produzione che di dismissione, senza parlare dei rifiuti solidi urbani (una ricerca USA ha calcolato circa 2,3 kg si rifiuti a testa al giorno).
Indubbiamente qualcosa si sta facendo con i vari sistemi di riciclaggio e con la raccolta differenziata, ma il problema rimane quello della scelta: riuscire a considerare la possibilità di cambiare la nostra mentalità consumistica e la tipologia dei prodotti, rendendoli al cento per cento biodegradabili, sapendo che ciò cambierà il modo di concepire lo sviluppo della società globalizzata.
I rifiuti sono solo un esempio macroscopico del problema che è ben più importante e comporta la presa di coscienza della grave situazione in cui versa l’intero nostro pianeta.
*Siamo al verde. La sfida per l'ambiente (In.edit edizioni 2024)