TURISMO
La poetica del viaggiare
Una fuga dal nostro tempo

VENERDI 17 FEBBRAIO 2023 | DI CLAUDIO FRANZONI | TEMPO DI LETTURA: 3 MINUTI

*Questo articolo è uscito nel numero di Gennaio-Febbraio 2023 di Terre & Culture, nella rubrica Il Pennino

 

Non sono mai stato un viaggiatore e non mi reputo tale. Per viaggiatore non intendo il turista del fine settimana, ma la persona che, con spirito d’avventura, evade dalla propria quotidianità per rigenerarsi altrove con nuove esperienze. Pur non considerandomi tale, ho viaggiato anch’io, per lavoro: Argentina, due volte, Francia, Olanda, Germania, Slovacchia, Ungheria, poi Baleari e Italia, molto nord e poco sud, per quanto in treno l’ho percorsa tutta.

Per me viaggiare è, più semplicemente, allontanarmi dalla modularità della società e dal mostro disordinato delle città, sempre più onnicomprensive, con la conseguente distruzione della natura e di noi stessi. Senza spirito di avventura, senza il fascino del rischio, senza inerpicarmi in ambienti dove si è estranei, viaggio, escluso per lavoro, solo per un vagabondaggio che mi porta al contatto con la natura, con le persone, il paesaggio, tra i vecchi manufatti che raccontano ognuno una storia e nei luoghi dove lo spirito ne abbia giovamento, come è, per me, nelle terre di San Francesco. Terre dove, parti costitutive di un Tutto, tra le mura antiche ed eroiche a volte perse in boschi infiniti scoscesi negli irti colli dove volano ancora le aquile, la vita è rimasta semplice, benefico contrasto con quella sedentaria, astratta e arruffata delle città, che si stanno evolvendo a favore di un’uniformità che presto renderà anche le località più caratteristiche di storia e di paesaggio intercambiabili come lo sono le aree di sosta di un’autostrada, senza più significato, senza più storia.

Per la natura è lo stesso: in essa mi ritrovo e ritrovo la Verità e le antiche leggi sempre nuove dietro la molteplicità, per quanto, con rammarico, constato l’inarrestabile deperimento degli elementi costitutivi della realtà originaria. Tutti i miei viaggi sono, in conclusione, una fuga, ma non da me stesso, bensì un tentativo di fuga dal mio tempo, pieno di tecnica e di danaro, di guerre e di avidità di ricchezze, che non riesco ad amare, ma contro cui mi sento di lottare, contro la macchina che ha la meglio sull’anima dell’uomo, contro la meschinità e la rozzezza di ciò che oggi chiamiamo vita.

Tornando ai viaggi, il turismo non è più quello di un secolo fa. Oggi si riesce facilmente a raggiungere in tempi brevissimi località tra le più sperdute sulla Terra, alleggerendoci sia di tutto ciò che un tempo era difficoltoso e aleatorio, sia della possibilità di gustare il senso dei luoghi, che si può raggiungere solo al di fuori di ogni schema e del “tutto compreso”, prefabbricato in serie, senza essere ingannati dallo slogan di una natura senza pericoli, igienica e denaturata - come esistono dolci senza zucchero - , che si sottomette all’uomo e da lui trasformata in modo da garantirgli stimoli e illusioni. Nei miei viaggi non ho mai cercato incontri mondani, ma dei valori sostanziali da poter cogliere e rappresentare, anche nell’imprevedibile, quali elementi peculiari della mia vita. Importante è non lasciarci trascinare in un viaggio come colli, ma andare incontro ad un viaggio che sarà una scoperta non solo del mondo esterno, ma anche del nostro mondo interiore, perché anche la più piccola e insignificante scoperta personale ci deve diventare più cara di qualsiasi pur splendida offerta del mondo dei tour operator. Quello che io ho sempre cercato è la poesia del viaggiare che non consiste, solo, nel vivere un periodo di distensione lontani dal quotidiano, ma un’esperienza che ci arricchisce interiormente, che ci concatena in maniera organica ad una nuova esperienza che accresce la nostra capacità di comprensione dell’unità nel molteplice, nel ritrovare antiche verità e leggi in contesti nuovi, di conquistare una parte dell’essere delle persone che incontriamo e portarlo con noi.

Nei paesi lontani che ho visitato, non ho volto la mia attenzione solo ai grandi monumenti che possiamo definire del “turismo di massa”, ma ho sempre avvertito la necessità di afferrare da essi la loro realtà più vera e profonda, fino a respirar la loro storia, fino a sentirmi la loro storia, interiorizzandola; ho sempre cercato l’idioma locale, i profumi delle strade, le chiacchiere con uomini e ragazzi in piccole osterie, i colori che si accendono e spengono con il sole per poi guardare le bellezze della città e appropriarmene più di quanto non abbia mai fatto attraverso i libri. Perché, mi chiedevo? Perché, mi risposi, il lavoro e la dedizione di un uomo o di un’artista non sono vani, che al di sopra della solitudine in cui ogni uomo, spesso, trascorre la sua vita, esiste un qualcosa che ci accomuna, di desiderabile e di prezioso, e che nel corso dei secoli centinaia di uomini hanno sofferto in solitudine e lavorato perché questo elemento consolante che ci unisce diventasse evidente. Sono sempre stato consapevole di questo elemento comune a tutti noi, ma ogni tanto bisogna sperimentarlo di nuovo, rivivere i propri sensi del passato, renderci vicino a chi è lontano.